L’acqua non può essere propaganda politica

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Il 22 marzo, come ogni anno dal 1992, è stata celebrata in tutto il mondo la giornata dell’acqua. Voluta dall’ONU, che ha individuato, giustamente, nell’approvvigionamento idrico una delle emergenze più drammatiche che, presto, assilleranno l’umanità. Ovviamente se non si acquisisce una nuova cultura e una nuova consapevolezza sull’uso più razionale e responsabile di una risorsa preziosissima. Decisiva per la presenza stessa della vita sul pianeta Terra. La Giornata mondiale dell’acqua (in inglese World Water Day) è il risultato della Conferenza di Rio. La prima conferenza mondiale sull’ambiente cui parteciparono 172 governi, 108 capi di Stato o di Governo, oltre a migliaia di cittadini, specie giovani, venuti da ogni parte del mondo. 

Il referendum

Sono trascorsi circa 11 anni dal referendum “contro la privatizzazione dell’acqua”. Esso  nacque da una grande mobilitazione. Un vero record di partecipazione: 1 milione e 400 mila firme (ne bastavano 500 mila) raccolte da marzo a luglio 2010 dai Comitati promotori. Come si ricorderà, fu una schiacciante vittoria dei Si per l’acqua pubblica. 26.130.637 favorevoli, pari al 95,80% dei votanti. Ciò malgrado, a distanza di ormai 10 anni nulla è cambiato. Anzi se qualcosa è mutato, è avvenuto in peggio. Si è accentuata la divaricazione tra la volontà degli Italiani chiaramente emersa nel voto da essi espresso e quella dei governanti che è andata sciaguratamente in direzione nettamente opposta. Aggravando così la drammatica crisi della democrazia rappresentativa, che è crisi politica e di sistema, causa prima delle difficoltà che vive il Paese.

Difficoltà che ne impediscono il progresso e lo sviluppo a danno soprattutto dei giovani, delle donne e dei soggetti più deboli. 

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L’oro blu

 La Giornata è stata occasione di un momento internazionale di riflessione dedicata all’oro blu del Pianeta. “Negli ultimi dieci anni le tariffe del servizio idrico sono aumentate di oltre il 90% a fronte di un incremento del costo della vita del 15%, secondo i dati della CGIA di Mestre”. È utile ricordare su cosa andarono a votare gli Italiani aventi diritto il 12 e 13 giugno 2011. Ad essi furono proposti 4 Quesiti. In questa sede il terzo e il quarto quesito, rispettivamente sul divieto di produrre energia elettrica dal nucleare sul territorio nazionale, e sul legittimo impedimento del Primo Ministro e dei Ministri a comparire in udienza penale, non ci interessano.

Ci interessano invece il Quesito referendario n° 1: “Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica. A tal proposito, se fosse prevalso il SÌ l’articolo 23bis della legge 133/2009 sarebbe stato abrogato. Per gli enti locali sarebbe rimasto relativamente facile e meno costoso mantenere gli affidamenti diretti “in house” dei servizi idrici e di altri servizi pubblici locali. E il Quesito referendario n. 2: “Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito.”

Il quesito chiedeva di abrogare o confermare il comma 1 dell’articolo 154 della legge152 del 2006 (“Testo unico ambientale”), che stabilisce che nel costo finale dei servizi idrici che il “cittadino-utente” paga in bolletta debba essere inclusa la remunerazione del capitale investito, fissata per legge al 7%.
La “remunerazione” comprende sia gli interessi di eventuali prestiti chiesti a banche o istituzioni pubbliche sia il guadagno d’impresa

Abrogazione comma 1

Che cosa sarebbe successo se fossero prevalsi i SÌ ?
Se fosse prevalso il SÌ il comma 1 dell’articolo 154 della legge 152/2006 sarebbe stato abrogato: la “remunerazione del capitale investito” non sarebbe stata più esplicitamente prevista come componente del costo finale dei servizi idrici che il cittadino-utente paga in bolletta.
Pur sostenendo appieno le ragioni sacrosante del Referendum, a nostro avviso i quesiti posti non erano cogenti e perciò non garantivano, anche in caso di vittoria dei Si, la difesa dell’acqua- Bene comune intangibile garantito a tutti ad un prezzo politico. Come purtroppo i cittadini hanno potuto verificare sulla propria pelle, anzi sulle proprie tasche.

La “remunerazione” è restata in bolletta, anche se in voci di spesa differenti. Ciò si poteva dedurre dal comma 2 dello stesso articolo di legge: “Il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, su proposta dell’Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, tenuto conto della necessità di recuperare i costi ambientali anche secondo il principio “chi inquina paga”, definisce con decreto le componenti di costo per la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i vari settori di impiego dell’acqua“.

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Privati attenti

Né c’era un’interpretazione univoca sulla possibilità di accesso al credito da parte delle aziende idriche (pubbliche o private) se l’articolo 154, come è avvenuto, fosse stato abrogato. I due articoli di legge citati sembravano incoraggiare la privatizzazione dei servizi idrici. Cioè sembravano consentire, come puntualmente è avvenuto, a grandi aziende e multinazionali dell’acqua di aggiudicarsi la gestione di fognature e depuratori.
La preoccupazione principale era che qualcuno avesse potuto approfittare di questi varchi. Dei privati accorti e in possesso di possibilità economiche adeguate si sarebbero potuto inserire. E così si sarebbe rischiata la mercificazione dei servizi idrici, dove la logica del guadagno prevale sull’interesse della collettività e dell’ambiente.


Per noi, invece, i servizi idrici devono rimanere a basso prezzo per garantirne l’accesso a tutta la popolazione Essere gestiti esclusivamente da società o enti pubblici e finanziati in tutto o in buona parte dallo Stato. Dal Referendum ad oggi, come si è visto purtroppo, nulla è cambiato. Sono però aumentati i profitti, sono stati distribuiti dividendi sempre più sostanziosi agli azionisti e sono cresciute, pare del 90%, le tariffe. Inoltre la qualità del servizio è nettamente peggiorata, specie nel rapporto Azienda-Utenti-Ambiente. La situazione nella provincia di FR è la peggiore di tutta la regione Lazio: il costo dell’acqua è circa il triplo di quelle di Roma; la dispersione dell’acqua a causa degli impianti obsoleti e mal tenuti è a FR il 77,8% record in Italia e ci fermiamo qui per non infierire.

Ripubblicizzazione dell’acqua

Proposte di soluzione per la ripubblicizzazione: riacquistare gli impianti (attraverso un’OPA?), come previsto dalla legge.

Forse bisogna prendere atto dell’impossibilità di far cambiare opinione ai Sindaci, la cui maggioranza è sempre “legata” ad Acea. E prendere atto altresì dell’enorme disparità dei rapporti di forza, nettamente a favore della Multinazionale, tra le diverse Associazioni. Un discorso a parte merita la Regione che nella vicenda può giocare un ruolo decisivo. Quasi sempre schierata con le ragioni di ACEA e zero iniziative istituzionali, malgrado le proteste e le pressioni di una popolazione completamente in balìa della Multinazionale che gestisce anche i servizi idrico ed elettrico della Capitale.

Un atteggiamento nuovo

Un atteggiamento nuovo pare potrebbe concretizzarsi con l’ingresso in maggioranza del Gruppo dei 5 stelle nel Consiglio Regionale del Lazio, che nella difesa dell’acqua pubblica hanno il loro principale punto programmatico per fare in modo che nelle stanze della Regione  si riaccendi la discussione.

Questo è un tema che i Cittadini tutti ed in particolare anche noi di Cassino vorremmo che se ne parli seriamente durante gli incontri tra i politici del territorio e si nei vari circoli politici e non che se ne senta solo parlare con le solite frasi demagogiche: “condivisione-solidarietà-ascoltare il territorio-cooperazioni e darsi delle regole sui paletti  del numero massimo di pacchetti di tessere che si possano presentare come Istanze di  iscrizione al partito.”

Non può essere l’ACQUA una propaganda politica come ha annunciato anche la neo compagine politica di AZIONE .

Ma lo scetticismo è diventata la regola dell’atteggiamento dei cittadini nei riguardi di tutte le forze politiche: chi vivrà, vedrà. Intanto è bene non mollare l’impegno, vigilare e fare opera di informazione e di denuncia politica.

Bene Comune per Cassino

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