RESPIRO – L’apolide, un cassinese in vacanza

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Non so se vi è mai capitato o è solo una mia impressione, ma sentirsi dare del Napoletano al nord e del Romano al sud credo sia un’ennesima caratteristica di noi cassinati.

La storia ha influito non poco sulle nostre radici, nel nostro sangue vi è di tutto. L’avvicendamento di popoli vicini e lontani invasori e difensori, pellegrini, viandanti, mercanti e pirati. Sanniti, Romani, Francesi e spagnoli, ma anche i Borboni, il Regno delle due Sicilie fino ad arrivare all’etnie regionali con la terra di lavoro ad inizio ‘900 e perché no alle contaminazioni sociali a seguito delle migrazioni industriali.

Una cosa è certa noi non siamo mica ciociari men che meno Cassino appartiene alla ciociaria. Questa forte contaminazione avvenuta nei secoli ha plasmato un popolo con infinite potenzialità anche se anestetizzato dai giochi di potere politici e dal provincialismo di questi mercanti del nulla.

Napoletani al nord, romani al sud

D’altro canto questi flussi non ci hanno permesso di sviluppare una propria identità geografica rendendo noi cassinati apolidi e quindi “romani” al sud e “napoletani” al nord.

Erano i primi anni ’90, per una serie fortunata di circostanze, con la mia famiglia, fui accolto dalla terra sarda. Erano ancora gli anni delle “ferrovie dello stato”, della Tirrenia e forse i primi di Sardinia Ferries.

Attraccare in quel golfo Aranci, vicino ad Olbia, in quegli anni aveva un sapore esotico e qualcosa di pioneristico che in parte mi faceva provare, anche se lontanamente, una sensazione non dissimile da quella di un esploratore. Ricordo benissimo il tragitto che portava ad Alghero, una strada isolata, non trafficata senza servizi, con pochissime aree di sosta se non qualche bar. I pali del telefono in legno, con i fili addobbati di coloratissimi uccelli, mai visti: i Gruccioni. Una chiesa isolata lungo il percorso e piccoli agglomerati di case resi noti dal cartello altrimenti invisibili e una continua foresta di querce da sughero.

La riviera del corallo

Con papà, nel mentre, si fantasticava su quelle campagne, nonostante l’arsura tenute perfettamente in ordine, sulle potenzialità di accogliere gli uccelli migratori, o ad immaginare i nostri meravigliosi setter perdersi su quelle colline in cerca delle famose pernici sarde.

Persi nei nostri sogni, una linea blu cobalto ci poneva dinanzi ciò che quella terra ha reso nota: il mare.

Le spettacolari mura difensive della meravigliosa cittadina, vera e propria colonia catalana in terra italiana, ci davano il benvenuto. Barceloneta, così soprannominata la città di Alghero, ci accolse con tutto il suo splendore riflesso anche da quella che è una delle coste più belle del mediterraneo: la riviera del corallo.

Il cielo terso, visto così solo sulle dolomiti e le alpi, mi insegnava a definire finalmente l’infinito di quel blu profondo, che a volte rendeva difficile distinguere la linea dell’orizzonte tra cielo e mare. Il maestoso Capo Caccia, icona di quei luoghi si stagliava a nord della cittadina e l’aria fresca e pulita riempiva i miei polmoni, lasciando appena quel sentore di salato tipico di una brezza marina.

La chiave

I miei occhi riempiti da quella costa verde, sinuosa, con quella terra ferrosa, rossa e i mille anfratti, accendevano i miei sogni e quell’immensa voglia di scoprire quella terra e conoscerne ogni singola pietra. Ognuno di noi ha le chiavi per poter “aprire” un luogo e scoprirne i segreti nascosti. La mia? …senza alcun dubbio: la passione per il mare!

Reperire informazioni su dove trovare cale nascoste, o tratti di costa poco frequentati a quei tempi non era per nulla facile. Tenuto conto anche del fatto che l’accesso ad essi erano per lo più dei tratturi sabbiosi spesso culminanti in viottoli non sempre semplici da percorrere. La strategia messa in atto da me fu abbastanza lineare e fu quella di cercare amicizie tra i pescatori del posto, ma in particolare nei vari negozi di pesca della città. Ma come si dice “tra il dire ed il fare c’è di mezzo…”

I due fratelli

E già, la gelosia tipica di noi pescatori incalliti, la diffidenza nei confronti dello straniero (per giunta pescatore), il tutto celato da quel mezzo sorriso tipico dei commercianti consapevoli di non poter venir meno al loro lavoro. Il negozio da me più frequentato era di proprietà di due fratelli. Un alto e magro, l’altro basso e robusto, introverso il primo, estroverso il secondo. Erano gli anni del mio idolo di pesca in apnea Renzo Mazzarri, fresco vincitore del suo 3° mondiale. Ovviamente l’approccio fu facilitato anche dal mio attentissimo papà che, complice come sempre, mi regalò acquistandolo proprio in quel negozio, il mio primo arbalete che ancora conservo: un Cressi Sub Apache 90.

In quei giorni iniziai a chiedere anche informazioni e cercare di capire dove cercare le agognate prede e quelle cale strepitose che sapevo vi fossero.

Le mie attenzioni logicamente ricaddero sul secondo fratello, quello dall’aspetto corpulento, ma sorridente e probabilmente più cacciatore che pescatore. Il suo «Ajò Ssergio, allora oggi dove sei stato a fare il “bagno?», era la riprova che la mia strategia iniziava a dare i suoi frutti. Appena rispondevo con il nome del luogo, lui proseguiva a mo’ di filastrocca: «Eja Ssergio, hai presente lì, dove c’è quel sasso, quella pianta, una strada con quella pietra, tieni la sinistra scendi verso il mare…Proprio lì c’è quel Lazzaretto (Torre in pietra) segui la costa tornando verso Alghero, pescando a 10 m ci sono i saraghi, le corvine e qualche bella cernia…»

Il lato nord

Puntualmente il giorno dopo forte dell’indicazioni ero lì su quel sasso, percorrendo quella strada e a nuotare verso Alghero, spolmonandomi tra i 10 e i 15m di profondità…senza vedere una pinna se non le mie. E fu così per quasi tutta la vacanza, fino a quando…

Stessa trafila in negozio, spiegai dove ero stato e dove sarei voluto andare il giorno seguente …«Eja Ssergio…lì ci sono i saraghi, belle orate e qualche dentice…l’importante è che segui la costa verso sud che sul lato nord non vi è pesce…»

L’indomani ero in acqua, il mio istinto mi portò ad improvvisare sul tema, ad insospettirmi anche quel voler “rafforzare” l’indicazione sul versante dove pescare del mio nuovo amico negoziante…

“oggi si fa come dico io!”

L’acqua cristallina ed il bellissimo fondale intervallato da sabbia fine e bianchissima lascia la possibilità ai miei occhi di scrutare ogni singolo anfratto e nascondiglio. Alcune ricciole di piccole dimensioni mi circondano, mentre sul fondo coloratissime triglie di scoglio su di una roccia piatta alzano piccole nuvolette di pulviscolo in cerca di cibo. Ad attrarre la mia attenzione una meravigliosa punta protesa verso il largo. Il blu infinito del mare con alcune rifrazioni di giallo e verde lasciava intendere la presenza di uno sperone roccioso più in profondità. Una secca spazzate dalle correnti. Respiro lentamente e man mano che mi porto sulla verticale del roccione cerco di rilassarmi il più possibile.

La profondità non facilita la scelta dell’opportuna strategia di pesca da intraprendere. Ma oggi è il mio istinto a dettare le regole. Il respiro è sempre più lento e cadenzato, nella mia testa mille i pensieri, mille i sogni, tante le incognite…ma in pochi secondi tutto è ridotto all’azione di caccia. Pinne al cielo, le prime forti falcate si interrompono e mi lascio avvolgere proprio da quel blu infinito. Ciò che era giallo e verde ha margini sempre più definiti. La secca ha una forma allungata con sbalzi e grosse rocce ai margini ben diversa da quella immaginata. Le immancabili castagnole mi circondano e con esse alcune grosse occhiate. A colpirmi l’improvviso schiacciarsi sul fondo di alcune salpe, mentre grossi saraghi fuoriescono dai roccioni ai piedi della secca.

Sua maestà

Una sagoma si staglia da un lato, ha squame blu elterrico: sua maestà il Dentice. Mi rendo conto di essere al cospetto di un grosso dentice, mi punta deciso per poi allontanarsi. Il sogno di tutti i pescatori subacquei, la laurea per chi pratica questo sport. Il tempo passa inesorabile, la colonna d’acqua sulla mia testa è immensa, il pesce non accenna ad avvicinarsi, consapevole della difficoltà della cattura mi gioco le mie ultime carte…approfitto dell’eclissarsi del pesce dietro una roccia, esco dal mio nascondiglio e con un rapido colpo di pinna cerco di colmare la distanza tra me ed il grosso pesce. L’agguato riesce perfettamente, il pesce esce da dietro la roccia è vicino, ne distinguo anche i grossi canini. Lascio partire l’asta del mio arbalete e velocemente raggiungo la superficie.

In spiaggia ad accogliermi i miei cari, il sorriso di mio papà e i giochi del mio piccolo fratellino, mamma sorridente già a preoccuparsi su come cucinare quel meraviglioso dentice.

Un posto dove pescare?

L’indomani al negozio senza che io dicessi nulla…fui accolto da un’aria strana, il mio amico mi sorrideva ma stranamente non mi dava più consigli. Improvvisamente la porta si aprì, ad entrare un altro giovane turista appassionato di pesca. Passarono pochi minuti che uscendo chiese, rivolgendosi al negoziante, «ma qualche bel posto dove poter pescare qualche bel pesce?»e il negoziante – «puoi chiedere a “Er Romano» che ieri ha preso un dentice di quasi 8 kili” …ed io – «hai presente quella pietra, quel sasso …la strada nuotando verso Alghero…»

Non ho mai saputo come abbiano fatto a sapere della mia splendida cattura, ma sta di fatto che negli anni seguenti ero e sono rimasto “Er Romano”!

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